Avrei parecchie persone da ringraziare in questi giorni e, con un po’ di tempo, loro farò personalmente, promesso.
Qui, oggi, voglio invece dire grazie a una persona speciale, una delle poche in grado di distrarmi veramente in questo periodo.
Qui, oggi, voglio dire grazie a Milo.
Milo è un ragazzino di 13 anni che vive nella mia testa (tutto a posto, non preoccupatevi, poi migliora, eh).
Milo, dicevo, è un ragazzino di 13 anni che sta per assistere alla fucilazione del padre (migliora, davvero, anche se ora magari non sembra), colpevole di aver ucciso un soldato nemico.
Mi chiamo Emilio Zambon, ho tredici anni e a mezzogiorno in punto i tedeschi fucileranno mio padre.
Il paese intero, o almeno quello che ne rimane, è sceso in piazza per assistere all’esecuzione. Da mesi non si vedevano tanti civili riuniti alla luce del sole. Mamma dice che così dimostriamo la nostra indignazione. È convinta che, se li guardiamo dritti negli occhi, non oseranno farlo davvero. Io dico che il coraggio di guardarli magari lo trovo pure. Loro però, secondo me, papà lo fucilano lo stesso.
Il plotone è pronto a fare il suo ingresso nella piazza. Dodici soldati semplici e il loro caporale. Tutti con la stessa divisa, gli stessi stivali di cuoio, il fucile imbracciato alla stessa maniera. Lo stesso sguardo più di tutto. Vuoto. Come se non rimanesse poi molto da guardare.
Alle nostre spalle la grande torre della chiesa, da giorni priva delle campane, sta ritirando la sua ombra verso di sé. Quando non resterà che una piccola macchia scura stesa ai suoi piedi, sapremo tutti che è arrivato il momento.
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