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Diversamente socievoli

Ho passato l’infanzia ascoltando mia mamma ripetermi costantemente e senza tregua vai a giocare con gli altri bambini – perché non giochi con gli altri bambini? – e gioca, su, con gli altri bambini, con una tale insistenza che manco le gemelle di Shining.
Ma ogni qualvolta mi propinavano l’oretta di gioco con l’amico o il cugino o l’amico del cugino (che è successo per davvero, eh) ero colta da un’ansia da prestazione tale da vivere come il peggiore dei miei incubi ogni momento di normale socialità tra marmocchi.

All’asilo sarò andata sì e no tre mesi. In tre anni. Ma forse nemmeno. Un giorno mia madre mi iscrisse a ginnastica ritmica. Dopo un mese le dissi qualcosa come È bellissimo, davvero, ma ti prego non mi ci mandare più.

Ero un pelino asociale, lo ammetto. Mi piaceva stare con me stessa e nel personalissimo progetto di vita che perseguivo allora (andare a vivere su un’isola deserta al compimento esatto della maggiore età) non avrei fatto male ad anima viva. Perciò non ci trovavo niente di male.

Nessuno lo avrebbe mai detto, eppure col tempo sono cambiata. Così tanto che ora di me, di solito, si dice che socializzi pure con le pareti.
È vero. Così come è vero che l’ansia da prestazione, però, ancora ce l’ho. Mi prende alla gola, allo stomaco, alle ginocchia. Mi fa sudare le mani, venire strani tic agli occhi e sproloquiare come se non avessi una lingua madre.

Noi diversamente socievoli siamo fatti così.

Ci piace la compagnia ma a piccole dosi...

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