Se tu vai via porti il mio cuore con te di Silvia Gianatti

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Più o meno è andata così:

“La Gianatti ha scritto un libro”.

“Wow, devo averlo! E di che parla?”

“È il diario di una donna che perde il suo bambino all’ottavo mese di gravidanza“.

Eh no, non posso farcela. E voi sapete il perché.

E invece il libro poi l’ho letto e oggi sono qui a dirvi perché dovreste leggerlo anche voi, qualsiasi sia la vostra storia personale.

Amo come scrive Silvia (ve ne ho parlato qui e anche qui), ma questo libro è una cosa diversa, che ha a che fare sì con l’essere una brava scrittrice, ma soprattutto con l’avere un’anima bella e volerla mettere a disposizione degli altri.

Ogni libro (ogni libro importante, s’intende) ha un compito preciso, un potere unico e speciale.

E questo di Silvia è un libro importante che ha il potere di farti il cuore più grande. 

Non importa che tu sia una mamma o un papà (o nessuno dei due). Che tu abbia affrontato la tremenda esperienza del lutto perinatale o conosca qualcuno (o nessuno) che c’è passato.

Ognuno di noi ha il suo dolore personale. E in fondo questo libro parla proprio di questo, di come affrontiamo il dolore e di dove troviamo le risorse per ricominciare a vivere, seppur con qualche cicatrice in più.

Questo libro fa una cosa speciale: ti accompagna dall’altra parte della riva. E il viaggio sarà tosto, ve lo dico, ma ne sarà valsa la pena. E alla fine avrete capito così tante cose sul dolore, sentendo così a fondo le emozioni della protagonista, che al termine della lettura vi troverete un cuore più grande e un animo più disposto a comprendere gli altri. Non chiedetemi com’è, ma è così.

Se tu vai via porti il mio cuore con te è un libro che si legge tutto d’un fiato: inspiri alla prima riga, espiri solo all’ultima.

C’e tutto qui dentro, ve lo posso personalmente confermare. C’è la gente che parla (troppo) e il continuo e disperato bisogno di silenzio intorno: “State zitti. State tutti zitti. Non lo so cosa ho sbagliato. Non lo so cosa è successo. Non lo so se c’era qualcosa che non andava. Vi dispiace. Mi dispiace. Non è abbastanza.

C’è il senso di colpa, la paura di aver fatto qualcosa di sbagliato, la convinzione che avresti potuto fare di più, essere più capace, più all’altezza.

E c’è anche quell’altro senso di colpa, quello che parla dei tuoi dubbi stupidi che ora, se potessi, te li rimangeresti uno a uno: e se la mia vita cambierà troppo? E se cambierà il rapporto con lui? E se scoprirò che fare la mamma non mi piace o non ne sono capace? Che scema. Avrei dovuto amarlo di più. E se fossero stati i miei dubbi a non farlo nascere?

C’è quella frase orribile “Mi dispiace, non c’è battito”. La fine di tutto, in una frase sola. Quanto l’ho odiata quella frase…

Ci sono i “siete giovani, ci riproverete”, come se un bambino si potesse sostituire con un altro, un amore con un altro.

Perdere un bambino in pancia è un’esperienza devastante tenuta ancora nell’ombra come non fosse un lutto vero e proprio.

Silvia ci ha fatto un dono prezioso, ci ha regalato una storia da condividere perché nessun “genitore interrotto” si senta più solo e incompreso nel suo cammino dal buio alla luce.

Ora sta a noi leggere e condividere questa storia. Io l’ho fatto e spero lo farete anche voi.

Quando si diventa una mamma? E’ quando nasce un bambino? Tu non sei nato. Io sono la tua mamma.

 

 

 

 

 

 

Brava, Silvia. E grazie, Silvia.

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