Vorrei ci fosse un premio per il “lavoro da mamma”

well done

 

Lunedì scorso, una giornata da mamma, come tante. Una giornata con tanti imprevisti e poche, pochissime, probabilità. Eppure, a sera, potevo dire di aver portato a termine tutti, ma proprio tutti, i compiti assegnati.

Come dite? Non c’è nulla di eccezionale? Chissà perché a me, per i tre quarti buoni della giornata, è parso proprio di sì.

A sera mi sentivo come se mancasse qualcosa, un piccolo riconoscimento, un incoraggiamento. Da parte di chi, non saprei davvero dire.

Forse è solo che a volte mi piacerebbe un riconoscimento ufficiale per il mio “lavoro da mamma”, un premio.

E non parlo del pat pat che ci scambiamo vicendevolmente  con mio marito quando arriviamo vivi a sera, nonostante tutto. No. Io voglio la notte degli Oscar, il red carpet, il discorso sconclusionato con la statuetta in mano, gli applausi scroscianti e pure una standing ovation, magari. Cose così. Credo onestamente di meritarmela, in certe giornate. Voi no?

Lunedì mattina, oggi è il giorno in cui non lavoro. State pensando a spiagge deserte, infradito e fruscio del mare? Oh sì, venite con me, che vi mostro l’apoteosi del relax dei miei giorni liberi.

Ore 8.25 in mega ritardo, e con la sensazione che non ce la faremo mai, corro verso scuola con la piccola in braccio e la grande che mi arranca dietro trascinando un trolley da duemila chili. Piove. Carico entrambe in macchina ma scordo giù la cartella. Giro dell’isolato e si torna indietro, imprecando a dire il vero, ma forse, vista la situazione, ci sta. Nonostante le previsioni, la grande entra a scuola in orario. La mattinata è dedicata alle commissioni, roba noiosa: banca, posta, farmacia.

Ore 12:00 di nuovo in ritardo percorro il tragitto casa mia – casa dei miei per lasciare la piccola dai nonni. In macchina cantiamo le canzoni di Masha e Orso, anzi, di Orso e Orso, come vi dicevo.

Lascio la piccola, in lacrime a onor del vero, e ripercorro il tragitto contrario. In macchina canto Bird set free di Sia, inventando le parole perché il testo mica l’ho capito tanto bene, però è liberatorio.  Prendo la grande a scuola, oggi ci aspetta un pomeriggio di pazza gioia: patch per le prove allergiche. Invidia eh?

In macchina cantiamo Vulcano della Michielin. Inventiamo anche qui le parole, forse dovremmo documentarci meglio, ma è divertente lo stesso.

Piove.

In clinica scopriamo che i cerotti sono un po’ troppo grandi per la sua schiena piccina. Esce fuori che pare la mummia, è un po’ contrariata, ma sopporta. Torniamo verso scuola e cantiamo Sto pensando a te di Fabri Fibra. Lei mi chiede di draghi e condom, io segno mentalmente di fare una selezione più rigida delle stazioni radio, ma arriviamo a scuola in orario.

La consolo per il cerotto che dà fastidio, le dico in bocca al lupo per la verifica di storia e riparto alla volta di casa dei miei.

In macchina: silenzio. Sono le 2:30 di giorno ma sono sfatta come se fossero le 2:30 di notte. Arrivo dalla piccola che si è svegliata dalla nanna pomeridiana con la febbre e un umore da orco. La coccolo ma non basta. In macchina cantiamo La marcia di Topolino, La canzone dei nanetti e L’elefante con le ghette. Lei, poverina, se lo merita. Io, poverina, no!

A casa tachipirina e coccole, giusto il tempo per andare a riprendere la sorellona a scuola. Umore nero per tutte e due, anzi, facciamo per tre. Fuori piove ancora.

Vi risparmio i dettagli della nottata ma vi basti sapere che, all’1 circa di notte, mentre mettevo la supposta a una, tentavo di consolare l’altra per il cerotto fastidioso. In quattro dormivamo circa un’ora l’uno. A turno, s’intende.

Ora, io lo so che giornate così sono all’ordine del giorno per noi mamme.

Che se dovessimo sfoderare un red carpet per ognuna di queste occasioni, finirebbe che la notte degli Oscar durerebbe un anno intero.

Però ragazze, diciamoci la verità, non ci meriteremmo almeno una piccola, piccolissima, standing ovation con applauso scrosciante? Che dite, ce lo facciamo a vicenda?

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