Quando, a volte, la notte
A volte, la notte, mi sveglio di soprassalto. Ci vuole un po’ per capire cosa succede.
Qualcuno, lì dentro, fa evidentemente le prove per le prossime selezioni del Cirque du Soleil. “Che tenera birbante”, è il mio secondo pensiero. Il primo è quasi sempre “machecaxx”.
Guardo l’orologio. Segna un orario che avevo scordato esistesse. Un orario tra le 3 e le 4 di mattina, di solito. Metto le mani sul pancione, mi godo la serie di calci piazzati provando a indovinare le sue evoluzioni. Mi sento felice, piena di vita.
Poi lei si calma e riprende a dormire.
Io, invece, inizio a pensare.
La notte è quel momento in cui i pensieri si fanno grandi e spaventosi, alimentandosi del buio che li culla. A te non resta che provare a scacciarli, a colorarli, finché la luce del mattino li illumina per quello che sono: paure insensate, assurdi timori e immotivati sensi di colpa. Immotivati bé, poi, vedete voi.
Io, ad esempio, quando a volte la notte mi sveglio, amo portarmi avanti. Mi porto avanti con le paure, con i timori, con le perplessità. Ma con i sensi di colpa vado proprio alla grande!
Inizio da un senso di colpa a caso, che ne so, per aver risposto male alla Marmocchia, per non averle dato sufficientemente retta, e mi ritrovo in un turbinio di sensazioni sconnesse che mi preme sul petto e mi chiude la bocca dello stomaco.
La starò trascurando? Starò invece esagerando con le attenzioni? Starà crescendo troppo timida? Troppo spavalda? Dovrei allentare le mie pretese scolastiche? Dovrei affermarle con più convinzione? Avrò abbastanza tempo per lei? Cambierà il nostro rapporto?
E avanti così, minuto dopo minuto, mezz’ora dopo mezz’ora. Quelle mezz’ore che di notte non passano mai.
Esaurito l’argomento Marmocchia la strada è spianata per la pancia. E qui, amici miei, ci potrei proprio tenere i master.
Vi ho mai raccontato, ad esempio, di quando la mia bambina femmina era un maschio? Nei primi mesi di gravidanza lei è stata un lui. Nessuna diagnosi medica a confermarlo, sia chiaro, ma io ero così convinta che avevo finito per convincere anche la Marmocchia. Tanto che, a un certo punto, se ne andava in giro dicendo “Vabbé, anche una fratella va bene”, occhi bassi e sospiri profondi a sostenere la sua traballante affermazione.
Un maschietto certo, me lo sentivo proprio, e come potevo sbagliare?
“E complimenti signora, è una bella femminuccia”
“Ma che, dice a me?”
“Certo signora, guardi qui, si vede chiaramente”
“Cioè vuol dire che il mio bambino maschio è una femmina?”
Da qui il mio senso di colpa preferito, quello per averla pensata maschio per così tanto tempo. Per non averla capita, per non averla “sentita”. Una sciocchezza, lo so, ma di notte questo pensiero diventa gigante, mi insegue, mi prende, mi schiaccia.
E del nome ne abbiamo parlato? Settimo mese inoltrato e di nomi qui ne sono stati detti tanti, ma un nome per questa pancia ancora mica lo abbiamo. Lo potete immaginare, di notte, cosa può diventare questo pensiero?
Un posto d’onore occupa l’evergreen ma starò dedicando abbastanza tempo alla pancia?. Le settimane corrono, io corro con loro, tra impegni lavorativi e impegni marmocchi, tra piccoli imprevisti e grandi probabilità. La risposta, di notte, nasce spontanea. E ovviamente è NO!
Quando, a volte, la notte mi sveglio, inizio a pensare. Pensare mi fa agitare, fa grandi le paure e inventa sensi di colpa sempre nuovi, sempre più terribili.
Quando, a volte, la notte mi sveglio è il panico.
Respiro a fondo, richiamo all’ordine i pensieri positivi. Se sono fortunata, certe notti, riprendo pure a dormire. Il più delle volte ne esco estenuata e sconfitta.
Chissà quanti di voi ci sono passati. Ditemi che poi passa, che poi ci si sente forti di nuovo. Ditemi, tranquillamente, anche una bugia.
La card nella foto di apertura è di MadeByUs e io la adoro!
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