(Non) si può avere tutto di Gheula Canarutto Nemni
“Ogni libreria che espone in vetrina il mio romanzo, rinnova in me la consapevolezza che nella vita, anche se tutti ti dicono che non puoi avere tutto, tu comunque puoi e devi provare ad ottenerlo. Il mio romanzo si intitola “(Non) si può avere tutto” con il ‘non’ tra parentesi. È un’autobiografia. L’autobiografia degli abitanti femminili del pianeta”.
Così Gheula Canarutto Nemni si presenta ai suoi lettori e parla del suo romanzo “(Non) si può avere tutto” che io ho avuto il piacere di leggere e che ho apprezzato per molti aspetti.
Trama in pillole
Conosciamo la protagonista Deb Recanati, ebrea ortodossa milanese, a poche settimane dall’esame di maturità, quando decide di sposarsi, nonostante gli avvertimenti della madre che per lei ha invece grandi aspettative di carriera.
“Un virus diffuso nella mente di quasi ogni donna. Quella speranza un po’ irrazionale di potersi realizzare su due piani così diversi tra loro. Lavoro e famiglia. Mia madre Anne ci ha provato, a conciliare quei due mondi che per loro natura procedono paralleli e incuranti l’uno dell’altro. Ha fatto i salti mortali per dare gli esami di legge alla Statale e poi correre a casa a buttare la pasta. Io sono la figlia di quella madre perfetta, una donna che al mattino, nel silenzio della casa vuota, spolvera vecchi peluche e disegni ingialliti di arcobaleni, immaginando come sarebbe la sua vita se in quel momento fosse invece dietro a una scrivania a redigere qualche contratto”.
Ma Deb vuole fare di tutto per dimostrare alla madre che può farcela a essere moglie e madre e al contempo non rinunciare agli studi e alla carriera. Inizia l’università, un periodo in cui alterna esami a gravidanze, libri a pannolini, riuscendo a fare la mamma e laurearsi contro le aspettative di tutti. Dopo la laurea Deb si mette alla ricerca di un lavoro e scopre subito che il suo affollatissimo stato di famiglia costituisce l’ostacolo maggiore all’assunzione. Ma Deb, ancora una volta, non si arrende, e trova finalmente il suo spazio: l’università. La vita per lei non sarà facile nemmeno qui e Deb dovrà continuamente scontrarsi con le difficoltà della conciliazione.
Quello che mi ha colpita di più di questo romanzo autobiografico è che, dopo pochissime pagine, Deb era per me già un’amica, nonostante la differenza d’età. Ho subito capito che quella familiarità che ho sentito con lei era la familiarità con la sua situazione di mamma che non vuole rinunciare allo studio, al lavoro, alla carriera. A sentirsi realizzata come mamma e come donna, in una parola.
Sette figli, sì. Ditemi quante di voi con un figlio solo hanno trovato difficile nella stessa identica maniera conciliare lavoro e famiglia? Una situazione che ci accomuna un po’ tutte ed è bello passare il messaggio che non dobbiamo arrenderci, che conciliare si deve e si può.
Molto interessante anche il punto di vista così unico di Deb, ebrea a Milano, alle prese con le regole imposte dalla sua religione.
Un romanzo che racconta che i sogni si possono avverare. Con fatica e dedizione, certo, e non tutti poi vengono precisi come li avevamo sognati, però tentare vale sempre la pena soprattutto perché rinunciare a priori non ha mai fatto felice nessuno!
Magari nella vita è vero non si può avere tutto. Però a quelli che dicono che bisogna sempre scegliere, rinunciare, accontentarsi, io onestamente non ho mai creduto.
Viva allora tutte le Deb Recanati del mondo che ci insegnano che (non) si può avere tutto ma si può sempre provare.
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