Il giocoliere #storie

ae56bbfc805511e396b20e24811827fc_8

Facevo la spola tra i terminal dell’aeroporto e la redazione del giornale ormai da settimane. Dentro e fuori dalle file al check-in. Io e la mia ventiquattrore semivuota, il bavero alzato e il Borsalino pronto a nascondere lo sguardo furtivo. Un moderno Humphrey Bogart in cerca dello scoop.

Scrutavo volti, fiutavo storie. E le rincorrevo come un segugio sulle tracce della preda. Una volta comprai persino un biglietto di sola andata per le Fiji. Stavo alle costole di un tizio sudamericano di cui avevo origliato una conversazione telefonica, losca quel tanto che bastava a farmi presagire qualcosa di intrigante. Lo avevo seguito studiando le sue mosse a debita distanza, mentre facevo appello a quel poco di spagnolo imparato al liceo. In attesa dell’imbarco, stavo seduto accanto a lui, nascosto dietro alle pagine rosa della Gazzetta per non destare alcun sospetto. Poi al tizio squillò di nuovo il cellulare… E fu così che lo ascoltai prendere accordi con la sua donna che, a quanto pare, lo attendeva in riva al mare nel più succinto di tutti i bikini. Dannato tizio. E dannato il mio spagnolo! Fortuna che il biglietto era rimborsabile.

***

Il giorno in cui lo vidi per la prima volta, un violento temporale si era abbattuto sulla città risucchiandosi l’alba per poi sputarla fuori in rombi assordanti e improvvisi squarci di luce. Percorrevo il lungo viale verso l’aeroporto a bordo della mia vecchia berlina, sorseggiando un ammerigano da passeggio preso al chiosco di panini sotto casa dove Joe, un omone baffuto approdato in Italia ormai da un decennio, mi propinava ogni mattina la solita brodaglia scura e rovente. Sapeva dell’acqua in cui è stato spento un mozzicone e vi è rimasto a macerare per una notte intera. Eppure Joe, col suo italiano stentato e quella sbobba incandescente, era diventato il mio appuntamento quotidiano. Una sorta di rito scaramantico al quale non potevo rinunciare.

Procedevo lento, il beverone ancora fumante in una mano, la lingua atrofizzata dalle precedenti sorsate. In prossimità del semaforo rallentai. La pioggia batteva insistente. Posai il caffè e ne approfittai per accendere una sigaretta. Non c’era in giro anima viva. Senza attendere il verde, infilai la prima e spinsi con forza sull’acceleratore.

Fu allora che, dal nulla, una sagoma multicolore mi tagliò la strada, rimbalzò sul cofano e si andò a schiantare contro il parabrezza.

Cazzo!

D’istinto sganciai il piede dall’acceleratore. La berlina balzò in avanti per qualche metro, poi si arrestò. Vidi il tizio scivolare di nuovo lungo il cofano e fin sull’asfalto bagnato, lasciando dietro di sé una scia liquida di colore.

Oh merda, lo avevo ammazzato!

Rimasi per qualche istante in stato catatonico: le mani strette sul volante, i tergicristalli che andavano a singhiozzo e una nuvola di fumo riccioluta che mi volteggiava intorno. Non avevo il coraggio di guardare.

Lentamente spensi la sigaretta e feci per aprire la portiera, quando all’improvviso il tizio mi balzò in piedi davanti alla macchina. Cristo Santo che spavento!

Lo osservai quel tanto che mi permetteva la visuale, partendo dalle ginocchia e andando lentamente verso l’alto.

Portava degli enormi calzoni a quadri rossi e gialli strozzati in vita da una corda, una maglietta a righe bianche e blu e un’assurda giacca fatta di stoffe colorate rattoppate insieme.

Feci salire lo sguardo ancora un pezzo, mentre il tizio se ne stava rigido sotto la pioggia, voltato verso me senza guardarmi.

Aveva il viso coperto da uno spesso cerone bianco, che lento colava via sotto la pioggia, e un enorme sorriso rosso disegnato attorno alle labbra. Indossava una parrucca verde eccessivamente riccioluta sul davanti e un minuscolo cappello a bombetta legato con l’elastico sotto al collo.

Sporse la testa in avanti verso il vetro, come una tartaruga che esce cauta dal suo guscio. Si riparò lo sguardo dalla pioggia con una mano, ondeggiando quell’altra a mo’ di saluto. Poi dischiuse un sorriso ingiallito nel bel mezzo del sorriso dipinto rosso fuoco.

Quel sorriso nel sorriso mi gelò.

…continua

Rispondi