Quella prof d’italiano
Qualche giorno fa la Marmocchia mi ha chiesto qual è la maestra che mi manca più di tutte. La risposta mi è venuta spontanea e ha stupito anche me.
In terza superiore cambiai sezione e capitai nella classe in cui insegnava (o, per meglio dire, esercitava la sua dittatura) la prof d’italiano più temuta della scuola (del paese? dell’universo mondo?)
Lei ti dava del Lei facendoti gelare il sangue nelle vene a ogni sguardo da sopra gli occhiali. Lasciava che parlassi fissando i suoi grandi occhi verdi nei tuoi e, quando era ormai certa che avessi perso il filo (e il respiro), ti finiva con una frase delle sue, solitamente volta a puntualizzare il tuo essere il più inetto tra tutti gli inetti.
Quando entrava in classe sentivamo tutti estremo bisogno di rimetterci cappello, guanti e sciarpa. Anche a maggio. Durante le interrogazioni, poi, la tensione si tagliava col coltello.
Lei non alzava mai la voce. Per farti sentire l’ultimo dei deficienti non aveva mica bisogno di scomporsi o di urlare. Le veniva proprio naturale.
Era il tipo d’insegnante che del proprio lavoro ne aveva fatto una missione. Amava la letteratura, il teatro e l’arte in generale.
Ma quello su cui le piaceva dibattere più di tutto, anche solo per puntualizzare l’enorme divario tra lei e la nostra generazione di smidollati, erano i fatti della vita. Se la sera prima al telegiornale avevano dato una notizia piuttosto importante, lei t’interrogava su quello. E ti metteva pure il voto! Se ammettevi di non essere al corrente delle ultime notizie, o di non avere un’opinione abbastanza motivata sull’argomento, eri semplicemente un telescemo, che della tv prendeva solo il lato ludico, autocondannandosi alla scemenza eterna.
Amava farci ragionare (oltre farci sentire scemi, eh) e, stimolando le nostre coscienze, ci spingeva (anche se con modi piuttosto barbari) a migliorare. Era un vero generale.
Lei un panzer, io un panzerotto. Inutile dire che ci amammo dal primo istante di un amore che si dava del Lei rivolgendosi la parola solo per effettiva necessità.
La mia prof d’italiano era amica di vecchia data della prof di ragioneria. Durante un colloquio, in cui quella di ragio stava spiegando a mia madre i motivi per cui avrebbe dovuto rimandarmi a settembre, lei intervenne e con la sua voce monocorde, in nome della loro profonda amicizia, le proibì categoricamente di farlo.
Le spiegò che la ragioneria non mi sarebbe servita a nulla, visto che era chiaro quello che volevo fare nella vita. E nella vita, ne era certa, io avrei voluto scrivere. Era chiaro per lei ma, a quell’epoca, non lo era affatto per me. Ringraziai comunque di aver salva l’estate, accettando il fatto come un regalo che non ero certa di aver davvero meritato.
Una volta la prof d’italiano disse che quello che più amava dei nostri temi (e lo disse in tono piuttosto sadico) era leggere le brutte, che puntualmente ci obbligava a consegnare. Disse che era nella scelta tra le righe cancellate e quelle salvate che da sempre intuiva chi aveva il dono, chi solo passione e chi, la maggior parte di noi ovviamente, era semplicemente una capra. Disse proprio così.
Non seppi mai a quale delle tre categorie fossi stata assegnata e, dandoci del Lei, l’ultimo anno di scuola con una stretta di mano ci dicemmo addio.
Pensavo a lei qualche giorno fa, di fronte a un’illuminazione tanto semplice quanto profondamente vera:
Chissà cosa penserebbe di me, ora. Forse sarebbe delusa di scoprire che non sono diventata una scrittrice e che, alla fine, la ragioneria mi sarebbe pure servita nella vita. Chissà se invece, leggendo qualcuno dei miei racconti, mi direbbe che non si era sbagliata. Oppure ancora se, sfogliando le pagine di questo blog, aggiornerebbe semplicemente la sua definizione di telescemi con quella di webdeficienti. Chi lo sa.
Alla Marmocchia, però, ho risposto che di sicuro è lei quella che mi manca di più, tra tutte le insegnanti che ho avuto.
Secondo me una maestra è brava quando, anche dopo tanti anni, ti fa venir voglia di essere migliore anche solo per risultare migliore ai suoi occhi. E alla fine, nel farlo, ti fa migliorare davvero. Non so se mi sono spiegata, ma spero la Marmocchia abbia una vita ricca di maestre così.
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