Fino all’ultimo passo #storie
Piero e Arturo erano amici da sempre, da che entrambi ne avessero ricordo. Erano stati compagni di gioco, prima, di lavoro e di guerra poi, attraversando i primi difficili anni delle loro vite, forti di un’unica certezza: la loro grande amicizia. Poi, in guerra, Arturo era stato fatto prigioniero e di lui, Piero, non aveva più avuto notizie. Mai un solo giorno, però, aveva smesso di pensare al suo amico di sempre.
Erano passati più di quarant’anni e un’altra guerra quando, una mattina, due anziani del paese giurarono di aver visto Arturo vagare smarrito per le campagne. Certo di tempo ne era passato, ma entrambi si dissero convinti che quell’uomo fosse il loro vecchio compaesano scomparso. Più volte lo avevano chiamato. Lui, però, non aveva risposto.
Quella mattina Piero non aveva esitato un solo istante, era montato sulla sua vecchia Bianchi e aveva preso a pedalare.
Pedalava, e più forte pedalava e più il cuore accelerava i battiti. I ricordi si rincorrevano nella mente, accavallandosi l’un l’altro. Quarant’anni. Una vita intera era passata.
Piero imboccò lo sterrato che conduceva fuori dal paese e, quando arrivò nei pressi del luogo in cui era stato visto l’amico, provò una fitta allo stomaco, sentendosi improvvisamente uno sciocco. Cosa credeva di fare? Probabilmente l’amico non voleva più avere niente a che fare con lui.
Il sole di mezzogiorno infuocava i campi tutt’intorno. Piero si sentì venir meno le forze e le speranze e arrestò la Bianchi all’improvviso. Era sul punto di rinunciare quando lontano, sul finire della strada, vide una macchia scura. Un pensiero gli sfiorò la mente e d’istinto riprese a pedalare. La macchia divenne via via più grande e definita, finché Piero riconobbe una sagoma d’uomo seduta su un muretto, lo sguardo fisso avanti a sé, le gambe a penzoloni. Rallentò, cercando di controllare respiro ed emozione.
Sebbene il tempo avesse di certo fatto il suo lavoro, Piero ritrovò all’istante, in quei lineamenti rugosi, il suo amico di un tempo.
“Arturo, fratello mio!” disse Piero. L’altro non fece una mossa.
“Arturo!” disse di nuovo. L’uomo prese a dondolarsi lento, avanti e indietro. Nonostante i capelli bianchi e la barba incolta, pareva un bambino, impaurito e indifeso.
Era magro. E anziano. Piero riconobbe in Arturo, per la prima volta in vita sua, i segni del tempo che era passato per entrambi.
Scese dalla Bianchi e l’adagiò a lato della strada. Poi si avvicinò all’amico e si sedette lentamente accanto a lui. Rimasero così, in silenzio, a guardare quell’orizzonte verde imbiondito dal sole.
Poi Piero disse: “te lo ricordi, amico mio, come bruciava il sole sull’Isonzo?”
Arturo smise improvvisamente di dondolarsi. Piero si sentì incoraggiato e continuò: “l’elmetto si faceva incandescente e il desiderio d’acqua bruciava nella gola.”
Arturo continuava a tenere lo sguardo fisso avanti a sé, ma il cuore di Piero sapeva che l’amico lo stava ascoltando.
Continuò a raccontare, finché il sole prese a calare avanti a loro. Poi si alzò, montò sulla sua bici e salutò Arturo. “Ci vediamo domani, amico mio” disse, e cominciò a pedalare verso casa.
Piero tornò nello stesso posto, alla stessa ora, per tutti i giorni seguenti. Ogni giorno trovò Arturo ad aspettarlo. Ogni giorno Piero raccontò ad Arturo il loro tempo insieme. Ogni giorno Arturo ascoltò Piero senza mai voltarsi.
Al paese la gente aveva preso a parlare di loro. “Lo scemo di guerra” chiamavano Arturo, “quel povero vecchio illuso” dicevano di Piero, certi che l’impresa fosse senza speranza alcuna.
Un giorno, mentre Piero era intento a raccontare l’ennesimo episodio delle loro vite insieme, Arturo si alzò e iniziò a camminare. Piero non sapeva cosa fare. Poi Arturo si girò verso di lui e disse “Vieni, amico mio”, guardandolo negli occhi per la prima volta. Piero riconobbe all’istante quei grandi occhi nocciola che erano stati i suoi primi compagni di vita. Si alzò il più velocemente possibile, per quanto le ginocchia glielo consentissero, e lo seguì.
“Grazie, amico mio” disse Arturo, mettendogli una mano sulla spalla. “Grazie di avermi restituito la vita che non riuscivo più a ricordare. Grazie, di averla custodita tutti questi anni per me!”
Piero si scusò con l’amico per non potergli raccontare altro che il loro tempo insieme. Arturo lo ringraziò dicendo che quello era tutto ciò che della vita voleva ricordare.
Camminarono a lungo Piero e Arturo. Camminarono fianco a fianco quello e tutti i pomeriggi a venire, fino all’ultimo passo, ricordando l’unico tempo che era valsa la pena di vivere: il loro tempo insieme.
Grande Vale! Devi scrivere, scrivere e scrivere 🙂 E sì, è proprio così, le persone che ci vogliono bene custodiscono pezzi di noi 🙂 Ti abbraccio forte.