Un valzer sotto il glicine in fiore #storie

IMG_6202Vista da quella panchina la vita appariva esattamente per quello che era: il costante incedere del tempo che trasformava i secondi in minuti, ore, giorni, rendendo vano ogni tentativo di arrestare la sua marcia in un momento di assoluta perfezione.

Eppure, ultimamente, Giovanni aveva come l’impressione che qualcosa, in quel meccanismo così perfetto, avesse cominciato a far difetto. Perché i minuti, le ore, i giorni avevano preso ad avvicendarsi in maniera così pigra? Cosa rallentava la quotidiana corsa del sole nel cielo, dal sorgere al tramonto, rendendo le giornate così terribilmente eterne?

Rosa si curvò su di lui, gli scostò i capelli dalla fronte e vi appoggiò leggera le labbra, in quel gesto di commiato che era loro ormai da 47 anni a questa parte. “Io vado Ninì” diceva sempre “mi aspetti qui?”

“Ti aspetto qui” rispondeva lui, la voce roca, lo sguardo avanti a sé. E mentre lei infilava la sportina al braccio, Giovanni aggiungeva sempre “E controlla bene il resto!”  Come se Rosa, in tutti quegli anni, avesse mai sbagliato una sola volta.

Lei sorrideva scuotendo il capo. Lui la guardava allontanarsi, la camminata incerta, la schiena ormai completamente curva. Giorno dopo giorno, lei lo salutava, lui l’aspettava seduto su quella solita panchina.

“Vieni Ninì, torniamo a casa” sussurrava Rosa al suo ritorno. Lui allora allacciava il suo braccio a quello della moglie e si lasciava sollevare, condurre, curare. Amare, in una parola, mentre il sole tramontava alle loro spalle facendo arrossire il mondo tutto intorno.

Se avesse potuto scendere a patti con il tempo, per una sola volta nella vita, Giovanni avrebbe scelto di rivivere per sempre quel valzer sotto il glicine in fiore. Non aveva dubbi. Anche se davanti a lei non l’avrebbe ammesso mai.

Di quella sera Giovanni ricordava tutto. Rosa e il suo vestito lilla, con quella gonna che ondeggiava a ogni movimento. Al collo un filo di perle, i capelli raccolti e solo un trucco leggero a illuminarle il viso. Era bella Rosa. Lo era sempre stata. La primavera era appena sbocciata e Rosa, quella sera, aveva detto a Giovanni “Balliamo!” Giovanni, in cuor suo, le avrebbe detto sì senza esitare. Ma nel bel mezzo del parco di paese, dove la gente passava, guardava, giudicava no, non avrebbe proprio potuto. Rosa però era stata irremovibile. “Balliamo!” aveva ripetuto, allungando le braccia verso il suo giovane sposo. “Vieni!”

Lui si era guardato intorno, poi si era avvicinato. Rosa allora gli era saltata al collo baciandolo con passione. “Che fai” aveva detto lui scostandosi “non vedi che c’è gente!” Lei aveva riso forte e di nuovo aveva spalancato le braccia reclamando il suo ballo.

“Oh Rosa, andiamo, che ti prende stasera?” Rosa allora si era avvicinata maliziosa accostando le labbra all’orecchio di Giovanni e glielo aveva detto in un soffio. La notizia più scioccante. Quella più straordinaria di tutte.

E fu così che Rosa ebbe il suo ballo, un valzer per l’esattezza, sotto il glicine in fiore. Mentre la vita cresceva dentro lei e tutto intorno a loro.

***

“Signore! Signore, si sente bene?” Giovanni si ridestò come da un sogno e vide il giovane davanti a sé che lo guardava con gli occhi grandi. Si guardò intorno, cercando di capire dove fosse. Si accorse di avere le braccia ancora spalancate all’aria, sebbene se ne stesse seduto sulla solita panchina.

“Sembrava stesse ballando” disse il ragazzo.

“Ballare, io?” disse Giovanni come fosse l’ultima cosa possibile al mondo.  E si toccò la guancia umida.

“Aspetta qualcuno?” chiese il ragazzo.

Giovanni si asciugò gli occhi con la mano e a fatica si alzò dalla panchina. “No” disse “Non più.”

Diede una lunga occhiata al glicine nuovamente in fiore, che era stato testimone della loro storia in tutti questi anni. Poi sussurrò “a domani, amore mio” e s’incamminò lento verso casa.

“Storie ferme sulle panchine

in attesa di un lieto fine”

(R. Fogli – “Storie di tutti i giorni”)

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