Le opportunità non hanno colore

C’era una volta una bambina che nella vita perseguiva un unico obiettivo: battere a rigori i maschi della classe durante la ricreazione. Giocavano con la pallina di carta e scotch. Quella che, se disgraziatamente la colpivi male, era capace dei peggiori danni: vetri rotti, librerie sventrate e quelle cavolo di patate americane che si ostinavano a piazzare in acqua ogni sacrosanto anno scolastico (come se, prima o poi, da questo esperimento gli alunni avrebbero potuto imparare qualcosa di più che le patate americane, in acqua, germogliano. No, dico, embeh?) quelle caspita di patate, dicevamo, rovesciate rovinosamente a terra insieme agli ettolitri d’acqua in cui erano immerse. E che sgridate, ragazzi, che sgridate.

La sua non era una dimostrazione di disagio (come forse doveva aver pensato più volte la sua povera mamma) e neppure l’esternazione della sua condizione (peraltro di tutto rispetto) di secondogenita. No. Quella bambina giocava a calcio coi maschi perché le piaceva. E perché, sti cavoli, era pure un sacco brava!

Con le bambine, poi, ci giocava lo stesso. Solo che c’era sempre quella che ad un certo punto “giochiamo alle mamme che vanno a lavoro?” E alla piccola, in quei momenti, veniva in mente un’unica sconfortante domanda: e perché mai?

A volte però si ritagliavano vestiti di carta per le bambole o si intrecciavano braccialetti. Allora sì che stare con le bambine le piaceva, e pure parecchio.

Il fatto è che per lei non c’erano giochi da maschi o giochi da femmine. Per lei c’erano giochi che le piacevano e giochi che non le piacevano. Adorava i robot e odiava le macchinine. Amava i peluches e detestava le Barbie e i loro amichetti. Andava pazza per palla prigioniera, nascondino, rialzo, campana. Tutti nello stesso identico modo.

Guardava Holly e Benji e sognava di trasformarsi nell’incantevole Creamy. Se incrociava Heidi cambiava immediatamente canale e aveva una cotta coi contro fiocchi per Tetsuya. Papà Gambalunga era in assoluto il suo cartone animato preferito.

Vestiva con abitini a fiori (quelli che quando fai una giravolta fanno una bellissima ruota) e la domenica andava a messa con quel completino rosa confetto che le aveva regalato mamma per chissà quale occasione. Poi però, in cortile, calzoncini corti e maglietta erano quanto di più comodo per i giochi all’aria aperta.

Leggeva Le favole dei fratelli Grimm e Rummenigge – storia di un panzer nerazzurro, con lo stesso identico trasporto.

Conosceva a memoria la formazione della nazionale italiana e le canzoni di Heather Parisi. Le facevano schifo gli insetti e aveva un debole per il più teppista della classe. Il suo colore preferito era il giallo.

Per tutto il tempo delle elementari, la piccola non si era mai posta il problema di quali fossero i giochi rosa e quali quelli azzurri. Voglio dire, non è che non lo sapesse, anzi lo intuiva molto più che bene. Semplicemente non ne faceva un problema. Se un gioco era un’opportunità di divertirsi, per lei quel gioco non aveva colore.

Quella bambina, un po’ sconclusionata, poi è cresciuta e un po’ è cambiata. Per anni ha fatto la ballerina, pur senza vestirsi di rosa. Per un lungo periodo è stata tifosa di calcio. Oggi cortesemente lo ignora. Degli anni delle elementari ha conservato quel poco d’incoerenza e i ricordi più belli.

Oggi quella bambina è mamma di una marmocchia che reclama a gran voce il suo diritto a volere un mondo fucchias (dove per fucchias s’intendono tutte le variazioni del rosa fino alle porte del viola). Se fosse per lei tutti (maschi, femmine, adulti e bambini) dovrebbero vestire fucchias, guidare macchine fucchias, avere mobili fucchias. Anche solo per l’allegria che questo colore sprigiona.

Per lei sua mamma spera una cosa sola: che sia così fortunata da non sentirsi mai in obbligo di scegliere un colore, di avere adulti intorno che non le chiedano di farlo e amici che non la facciano sentire nè esclusa nè diversa. Che non si precluda un’opportunità solo perché è del colore sbagliato. Che sappia scegliere, ma soprattutto lasciar scegliere, liberamente. Che segua le proprie inclinazioni senza doversene vergognare mai. Di qualunque colore esse siano.

Non sono contro il rosa e non sono contro l’azzurro.

E non sono per il rosa e non sono per l’azzurro.

In generale, se devo propendere, io propendo per l’arcobaleno.

 

Questo post partecipa al Blog Tank di Donna Moderna Bambino.

16 comments to Le opportunità non hanno colore

  • Vale - Bellezza Rara  says:

    Ti ho già detto tutto su Facebook. Che bello questo post, e quanto lo sento mio. Grazie Vale!

    • robedamamma  says:

      Abbiamo tante affinità ed è bello scoprirle piano piano! Ciao Vale

  • biancume  says:

    mi è piaciuto moltissimo questo post.
    Anche io tengo molto a questo argomento e con mia figlia mi è toccato constatare che anche tra i bimbi di soli quattro anni questa distinzione tra cose la mamma dice una cosa va bene ma se l’amichetto del cuore dice il contrario la lotta è impari. Ma io non mi arrendo.

    • robedamamma  says:

      Hai ragione, anche lei si fa spesso condizionare dalle amichette. Non è facile. Poi però a carnevale, in una schiera di principesse e fatine, lei faceva la fragola. Il costume più brutto della scuola, senza dubbio, ma quello che ha significato per me è valso più di tutto! non abbattiamoci!

  • Francesca  says:

    In questo tuo racconto rivedo la me bambina che ti assomiglia molto, fatta eccezione per il colore giallo, che detesto 😉

    • robedamamma  says:

      che bello sapere che non ero la sola “strana”. era diversa la nostra generazione, si dice spesso ma trovo sia profondamente vero!

  • Francesca Patatofriendly  says:

    Noi due avremmo potuto essere amiche da bambine!e ci saremmo fatte delle belle partite di calcio!!!
    Ho partecipato anche io a questo blog tank e non posso che condividere perché ho scritto cose molto simili: forse erano “periodi” diversi, non so, ma secondo me l’identità di genere si forma nella libertà!:) E mi piace l’arcobaleno!!:)
    Fra
    PS se vuoi il post si chiama “Bella in rosa” 🙂

  • robedamamma  says:

    ho letto il tuo post, davvero molto simili le nostre infanzie! erano tempi diversi certo e la nostra è sicuramente una generazione speciale. Chissà se riusciremo a trasmettere ai nostri figli lo stesso amore per la propria libertà e il rispetto di quella altrui. Non è facile ma tocca provarci! 🙂

  • cate  says:

    Bellissimo il concetto dell’arcobaleno!
    Io sono sempre stata uno scricciolo, la classica “signorinetta”, ma solo nell’aspetto e a causa dei lunghissimi capelli lunghi che piacevano tanto a mia madre. Per il resto, un vero maschiaccio, adoravo e tuttora adoro passare il mio tempo con il genere maschile, ma apprezzo la compagnia delle amiche vere, figlia di elettricista, so stuccare, imbiancare, trapanare, sturare i cessi e guidare una jeep tirandola fuori dal fango. Ma mi sento una vera donna 🙂
    Insomma, incoerente (ma fiera di esserlo) anche io!
    Un abbraccio!
    (ah..il mio colore preferito era il fuschias!)

    • robedamamma  says:

      Ah ah, iniziare la giornata leggendo il tuo commento è una vera mano santa! Un abbraccio grande e viva il mondo fucchias!! 😉

  • Giuliana  says:

    Già anch’io ero un maschiaccio e ora ho una figlia principessa che mette solo gonne e calzamaglie, ha già un carattere forte ma si scontra sempre con i maschi più grossi che le fanno sempre male.

    • robedamamma  says:

      Imparerà a difendersi, vedrai. O a far spallucce che forse è pure meglio! 😉 a presto

  • Michela  says:

    Le mie nipotine vogliono un mondo “fuc-sian”… speriamo che siano brave e coraggiose come la tua Marmocchia 🙂
    Certo che quando la loro mamma le sgrida perché accarezzano un boxer, dicendo che è un cane da uomo, un po’ di paura viene… I bambini sono un po’ come sono e un po’ come li crescono i genitori. Quando guardo dalla vostra parte all’improvviso mi sento meglio 🙂

  • robedamamma  says:

    ” I bambini sono un po’ come sono e un po’ come li crescono i genitori”, mamma mia quanto è vero! un po’ spaventa eh… però è davvero incredibilmente vero! baci Micky!

  • Di quando mi sono arresa alle bamboline desnude  says:

    […] Sinceramente una cosa per cui qualsiasi cinquenne di qualsiasi generazione avrebbe potuto uccidere (no, non guardate me, io giocavo con le figurine dei calciatori, ricordate?). […]

  • […] e che i colori non possano generare confusione sessuale. Le opportunità non hanno colore. Cit. Robedamamma   Tinella analizza la moda bimbo degli anni 70. Anche Lidia parla della storia […]

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