Una teoria sui batteri marmocchi

Due giorni a contatto con una portatrice marmocchia di raffreddore e anche gli adulti di più sana e robusta costituzione finiscono per capitolare.

Succede che la Marmocchia si prende un piccolo raffreddore. Un po’ di moccolo, un paio di starnuti e qualche linea di febbre. Dopo due giorni sta una meraviglia. Il Ninnatore ed io, invece, iniziamo a sentire i sintomi di un’imminente catastrofe. Ventiquattro ore dopo finiamo tutti e tre segregati in casa. Gli adulti con l’influenza del secolo, la Marmocchia, ormai del tutto ristabilita, nel pieno delle forze. E il connubio è davvero inquietante.

Perché lei vorrebbe giocare, correre, saltare. Soprattutto vorrebbe parlare. E invece noi siamo nella fase in cui vorremmo tenere la casa nella penombra, comunicare col pensiero e alzarci solo per andare in bagno.

Bene, essere malati con un marmocchio (sano) in casa non è cosa facile (ma và?). Chi di voi lo ha provato, sa benissimo che l’esperienza è alquanto terrificante. Sei lì con la testa che ti scoppia, un orecchio cionco, le forze che ti abbandonano e le ossa che scricchiolano al solo respirare. Se provi a parlare ti senti una spada in gola e ogni singola parola ti sbatte contro le pareti della testa stile pallina da flipper, producendo il tipico rumore metallico (stic – stoc) che viene amplificato ancora di più dall’effetto orecchie ovattate. Sapendolo, chiunque sano di mente deciderebbe semplicemente di tacere.

Ma se attorno al tuo capezzale si affanna una nana di 85 cm (misurazione ufficiale del 16.04 u.s.) che spara domande a raffica alla velocità della luce, e se non rispondi ti sale sulla pancia, ti si siede in faccia e ti tira i capelli, rimanere a lungo in silenzio è praticamente impossibile.

E così fai uno sforzo, perché in qualche modo bisogna provare ad accontentarla. Non riuscendoci si tenta almeno di evitare il peggio. Che ne so, stare attenti che non si scoli i detersivi in cucina, che non si arrampichi sul mobile della sala e che non tenti di affogare Ciccio nel bidet.

E in questi giorni di malattia ho sviluppato una teoria che potrebbe forse spiegare perché gli stessi microbi che infettano un corpicino marmocchio quando si trasferiscono in un corpo adulto lo devastano. Ovvero perché se lei si prende il raffreddore, a te spetta l’influenza della peggior specie.

È che germi, virus e batteri hanno da una parte un’etica professionale e dall’altra una propria morale. Devono sì portare avanti il loro sporco lavoro e partono armati dei migliori propositi: devastare chiunque gli capiti a tiro. Ma davanti ad un marmocchio ammalato la loro coscienza vacilla: non se la sentono di portare a termine l’opera e, con la bava alla bocca, assetati di potere, cercano una nuova vittima sulla quale sfogare la loro frustrazione.

E lì ti ci trovano. Tu che un tempo non ti ammalavi mai e quand’anche ti capitava, due aspirine ed eri come nuovo. E invece da quando hai un marmocchio in casa, col tutto il corredino di germi che si porta, sei ammalato 25 giorni al mese, c’hai il sistema immunitario latitante e l’armadietto dei medicinali stracolmo.

E così fuori è primavera, i prati fioriscono, la natura si risveglia e noi siamo chiusi in casa. E mentre la Marmocchia si dà alla pazza gioia, ci sono due presenze palliducce e un po’ malconce che tentano di mantenere ordine e disciplina nonostante le avverse condizioni di salute.

Chi avrà la meglio non si sa. Anche se un’idea, in queste ore, ce la siamo fatta.

One comment to Una teoria sui batteri marmocchi

  • Daniela  says:

    Vale ci riuscirete!!!! Sarete voi i vincitori!!!!!! Bacii

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